di Martina Lucia (2D)

“Le donne che hanno cambiato il mondo, non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza”. In questa frase è racchiusa l’essenza dell’unica donna italiana ad aver vinto un Premio Nobel scientifico per le sue ricerche in ambito medico e ad essere ammessa alla Pontificia Accademia delle Scienze.

Figlia dell’ingegnere elettrotecnico e matematico Adamo Levi e della pittrice Adele Montalcini, Rita nasce a Torino il 22 aprile del 1909. L’autorità di suo padre, insieme agli insegnamenti critici di entrambi i genitori, furono determinanti nella vita di Rita. Fin da giovanissima decise di non sposarsi, insofferente alle dimostrazioni di amore romantico e all’immagine che la società dell’epoca aveva della donna. L’esperienza del ruolo subalterno che spettava alla donna in una società interamente gestita dagli uomini l’aveva convinta di non essere tagliata per fare la moglie. Fortemente convinta dell’uguaglianza intellettuale tra uomo e donna – causa che avrebbe rivendicato e sostenuto per tutta la vita –, nonostante il parere contrario del padre decise di iscriversi alla facoltà di Medicina presso l’Università di Torino, dove si laureò con 110 e lode nel 1936.

Fin dal primo anno di università lavorò come internista, nell’istituto di Giuseppe Levi, dove iniziò gli studi sul sistema nervoso. Fu proprio in quell’istituto che conobbe Salvatore Luria e Renato Dulbecco, i suoi compagni di studi che presto divennero anche suoi amici. Brillanti e rigorosi, tutti e tre avrebbero vinto, in momenti diversi, un Premio Nobel. Dopo la laurea Rita decise di intraprendere la specializzazione in Psichiatria e Neurologia e in seguito, nel 1938, la ricerca assorbì tutte le sue energie. Collaborava con lei il neurofisiologo Fabio Visintini e insieme condussero uno studio sui neuroni embrionali dei polli, dai primi stadi di formazione fino a quando non uscivano dall’uovo. Rita ottenne risultati interessanti che aiutarono a comprendere meglio il funzionamento del cervello. Le leggi razziali del 1938, del regime fascista, obbligarono la studiosa ebrea a emigrare in Belgio. Dopo pochi mesi, a causa dell’invasione del Belgio da parte della Germania nazista, Rita dovette ripiegare a Bruxelles e in seguito fece ritorno a Torino, dove continuò imperterrita a fare ricerca in un piccolo laboratorio allestito nella sua camera da letto. In quel periodo iniziò a studiare il sistema nervoso degli embrioni di pollo insieme a Giuseppe Levi, che aveva fatto ritorno a Torino ed era diventato l’assistente della sua allieva. In quegli anni Rita e Giuseppe fecero scoperte importantissime che vennero riconosciute valide solo nel 1972. Purtroppo però, fuori da quella stanza, infuriava la Seconda guerra mondiale. Torino venne pesantemente bombardata dalle forze aeree nel 1941 e la famiglia Levi-Montalcini abbandonò la città per rifugiarsi nelle campagne circostanti e, successivamente, a Firenze. Furono anni convulsi in cui non ci fu tempo per la ricerca: Rita, d’altro canto, prese contatto con le forze partigiane e, dopo la liberazione di Firenze nell’agosto del 1944, la donna lavorò come medico al servizio degli Alleati. Una volta finito il conflitto, nel 1947, Rita venne invitata dal neuroembriologo Viktor Hamburger a proseguire le sue ricerche negli Stati Uniti, presso la Washington University di Saint Louis. Il progetto iniziale era rimanere solo pochi mesi, ma la donna trascorse trent’anni negli USA, insegnando per più di venti presso la prestigiosa università. Nel 1954 scoprì la NGF, una molecola proteica tumorale attiva nel sistema nervoso. Gli studi in merito, condotti insieme al collega Stanley Cohen, valsero a entrambi il Premio Nobel per la medicina nel 1986, e risultarono fondamentali per la comprensione di alcuni tipi di tumore, così come di malattie come l’Alzheimer e il Parkinson. Ma la studiosa non dimenticò mai l’Italia, dove diresse un Centro di Ricerche di Neurobiologia e un Laboratorio di Biologia Cellulare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Rita Levi Montalcini ricoprì diversi incarichi nazionali e internazionali, divenne membro delle più prestigiose associazioni scientifiche mondiali. In occasione dei suoi cento anni dichiarò: «il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente». Rita Levi Montalcini morì il 30 dicembre 2012 all’età di 103 anni.

Una donna che ci ha lasciato un grande patrimonio scientifico, che ha passato tutta la sua vita al servizio degli altri, una donna che ha dimostrato una grande forza d’animo, una donna che ricordiamo con alcune delle sue celebri frasi:

“Il corpo può morire. Ma restano i messaggi che abbiamo mandato in vita. Perciò il mio messaggio è questo: credete nei valori”.

“Rare sono le persone che usano la mente, poche coloro che usano il cuore e uniche coloro che usano entrambi”.

Fonte: Storica – National Geographic.

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