di Carlo Cavalieri e Davide Gabrielli (3B)

Bentornati amici dello Stradellino! Dopo un breve periodo di pausa, riprendiamo con la pubblicazione degli articoli di questa sezione. Oggi vi proponiamo la vita di un grande uomo, esempio di legalità e responsabilità: Giovanni Falcone.

GIOVANNI FALCONE: IL MAGISTRATO CHE HA MESSO L’IDEALE DAVANTI ALLA VITA

Giovanni Falcone nacque in una famiglia benestante: il padre, Arturo Falcone (1904-1976), era il direttore del laboratorio chimico di igiene e profilassi del comune di Palermo, e la madre, Luisa Bentivegna (1907- 1982), era figlia di un noto ginecologo della stessa città. Terzo figlio, aveva due sorelle maggiori: Anna (1934) e Maria (1936) Nacque il 18 maggio 1939 a Palermo in via Castrofilippo, nel quartiere della Kalsa, lo stesso di Paolo Borsellino e di molti futuri mafiosi, come Tommaso Spadaro. Falcone vinse un concorso ed entrò nella magistratura italiana nel 1964, e in quello stesso anno nella Basilica della Santissima Trinità del Cancelliere sposò Rita Bonnici, maestra elementare, sua prima moglie. Nel 1965, a soli 26 anni, divenne pretore a Lentini. A partire dal 1966, e per i successivi dodici anni, fu al tribunale di Trapani, nei primi anni come sostituto procuratore e giudice istruttore. A poco a poco, nacque in lui la passione per il diritto penale. Nel 1967 istruì il primo processo importante, quello alla banda mafiosa del boss di Marsala, Mariano Licari. Nell’aprile 1969 la malattia del padre, un tumore all’intestino che lo avrebbe poi portato alla morte nel 1976, lo toccò profondamente. In quegli anni stava mutando radicalmente: a cambiarlo non fu solo la mancanza del riferimento paterno, ma intervennero anche fattori esterni. Il progetto del cosiddetto “Pool antimafia” nacque dall’idea di Rocco Chinnici, ma successivamente sarebbe stato sviluppato da Antonino Caponnetto che, nel novembre 1983, costituì una squadra composta da quattro magistrati istruttori: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Il Pool nacque con lo specifico compito di coordinare tutte le indagini su reati di mafia, esclusivamente e a tempo pieno, col vantaggio sia di favorire la condivisione delle informazioni tra tutti i componenti e minimizzare così i rischi personali, sia per garantire in ogni momento una visione più ampia ed esaustiva possibile di tutte le componenti del fenomeno mafioso, sfruttando in particolar modo l’esperienza maturata da Falcone durante le inchieste Spatola e Mafara, soprattutto nell’ambito delle indagini bancarie e patrimoniali. La squadra concentrò l’attenzione sull’inchiesta contro i 162 mafiosi iniziata da Chinnici, dividendo il carico di lavoro in maniera efficace: Falcone e Guarnotta indagavano sui movimenti di denaro, provento del traffico di droga; Di Lello sugli omicidi e sugli altri reati minori commessi dagli imputati mafiosi; infine, Borsellino seguiva l’indagine connessa ai “delitti eccellenti”, cioè quelli contro personalità dello Stato consumati in quegli anni, e gli omicidi compiuti dalla spietata cosca di Corso dei Mille. Nell’agosto 1985, dopo gli omicidi del commissario Giuseppe Montana e del vicequestore Ninni Cassarà, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, si cominciò a temere per l’incolumità anche dei due magistrati, che furono perciò trasferiti per motivi di sicurezza con le rispettive famiglie presso la foresteria del carcere dell’Asinara. In quel luogo poterono terminare la scrittura delle oltre 8.000 pagine della colossale ordinanza-sentenza che rinviava a giudizio 475 indagati a seguito delle indagini del Pool, le quali finirono per abbracciare i più disparati settori di attività illecita di Cosa Nostra.

Falcone venne assassinato in quella che comunemente è detta “strage di Capaci”, il 23 maggio 1992, cinque giorni dopo il suo cinquantatreesimo compleanno. Il giudice, come era solito fare nei fine settimana, stava tornando in Sicilia da Roma. Il jet di servizio partito dall’aeroporto di Ciampino arrivò intorno alle 16:45 all’aeroporto di Punta Raisi dopo un viaggio di 53 minuti. Il boss Raffaele Ganci seguiva tutti i movimenti del poliziotto Antonio Montinaro, il caposcorta di Falcone, che guidò il corteo delle tre Fiat Croma blindate dalla caserma “Lungaro” fino a Punta Raisi, dove dovevano prelevare Falcone.

Si trattò di un attentato esplosivo compiuto per placare quella fresca ventata di libertà che si percepiva nel periodo in cui il duo Falcone-Borsellino iniziava a ottenere risultati esemplari grazie all’esperienza nel Pool Antimafia. In quel periodo Cosa Nostra operava nell’ombra, ma grazie al nucleo antimafia e all’arresto, con successivo pentimento, di Tommaso Buscetta, è come se si fossero improvvisamente accesi i riflettori sulla grezza e brutale bestia della mafia, cosa inaccettabile per personaggi loschi e inattaccabili che, nella paura di perdere la loro egemonia, iniziarono a tessere le trame per generare lo scempio di Capaci.

I morti nella Strage furono cinque. Oltre al giudice anti-mafia, persero la vita la seconda moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e i tre agenti della scorta. Vi furono 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.

Oggi Falcone è considerato una delle personalità più prestigiose nella lotta alla mafia in Italia e nel mondo; la sua fama è internazionale e le sue idee hanno trovato spazio nelle menti e nei cuori di molti: “Gli uomini passano, le idee restano” diceva; “la mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine”.

Di seguito proponiamo un video-approfondimento sulle vittime della Strage pubblicato da «La Repubblica».

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