di Alba Giulia Sagnetti (3B)

L’8 gennaio del 2021 sono trascorsi 100 anni dalla nascita di un grande scrittore, giornalista, saggista, drammaturgo, poeta, politico, critico d’arte e insegnante; nonché una delle figure più importanti del ‘900.
Parliamo di Leonardo Sciascia, nato nel 1921 a Racalmuto, in provincia di Agrigento, in Sicilia, primo di tre fratelli, figlio di un impiegato, Pasquale Sciascia, e di una semplice casalinga, Genoveffa Martorelli.

Lo scrittore vive la sua infanzia circondato da zii e zie, nella piccola casa a via Regina Margherita n. 37, oggi via Leonardo Sciascia, aperta al pubblico nel luglio del 2019. Inizia la scuola elementare a Racalmuto a sei anni. Si trasferisce poi con la famiglia a Caltanissetta, dove si iscrive all’istituto magistrale “IX Maggio” nel quale insegna Vitaliano Brancati, che diventerà il modello di Sciascia e che lo guiderà nella lettura degli autori francesi; mentre con l’incontro del giovane insegnante Giuseppe Granata scoprirà l’Illuminismo italiano e francese, formando così la propria coscienza civile sui testi di Voltaire, Montesquieu, Cesare Beccaria e Pietro Verri.

Con il tempo Sciascia si è avvicinato all’anti-fascismo, leggendo anche molti autori nordamericani. Infatti proprio nel capoluogo nisseno trascorre gli anni più importanti della sua vita. Nel 1941 si diploma e nello stesso anno inizia a lavorare nel Consorzio agrario, dove si occupa dell’ammasso del grano di Racalmuto. Quest’esperienza lo avvicina molto alla realtà contadina siciliana di cui scriverà in futuro. Nel 1970 va in pensione. Dopo essersi impegnato in un’ampia attività letteraria e politica; negli anni Ottanta gli viene poi diagnosticato un mieloma multiplo, che lo porterà alla morte successivamente il 20 novembre del 1989 a Palermo.

Fu un uomo di grande impegno morale e civile. La protagonista dei suoi romanzi è proprio la sua terra, la Sicilia, che viene descritta sotto molti aspetti, anche quelli negativi. Egli infatti denunciò tutti i mali che sono presenti nello stato: la mafia, la corruzione e la connivenza politica. I suoi romanzi sono gialli che non hanno mai un lieto fine perché, secondo l’autore, il trionfo della giustizia non può essere mai dato per scontato. Il suo scopo è quello di denunciare i soprusi, le violenze, la corruzione e i legami che ha la delinquenza con lo Stato.

Alcuni personaggi dei suoi romanzi infatti, come il capitano Bellodi ne Il giorno della civetta o il professor Laurana in A ciascuno il suo, non accettano il compromesso, il silenzio, il disimpegno e lottano contro poteri ben più grandi di loro, animati da una convinta fiducia nei valori della razionalità, della giustizia e della libertà.

La prosa di Leonardo Sciascia si avvale di uno stile lucido, concreto, essenziale, capace di denunciare, con chiarezza e spiccata ironia, specifiche situazioni.
Sceglie la struttura del giallo e dell’inchiesta proprio per sollecitare l’interesse del grande pubblico su temi civilmente impegnati, attraverso i meccanismi della suspense e dell’intrigo poliziesco. La conclusione dei suoi libri è spesso amara e pessimistica, ma forse, proprio per questo, la sua volontà di denuncia risulta più efficace.

Sciascia scriveva della mafia prima ancora che “esistesse”. La sua eredità sono proprio i suoi libri, piccoli ma “densi”. In questi ultimi parlava dell’Italia del tempo scossa da attentanti e omicidi a giudici. Sotto questo aspetto molti lo ritenevano un anticipatore e un profeta, fatto che non gli piaceva molto visto che ribadiva di essere soltanto un poeta che fa 2+2. Oggi accadono ancora degli eventi storici che pensavamo ormai di aver superato, ma visto che non è così possiamo dire a pieno che Sciascia aveva ragione: egli, infatti, interpretava il mondo attraverso la letteratura, vedendo cose che gli altri non vedono, descrivendoci con lucidità alcune immagini della realtà sotto anche una chiave rappresentativa. Molti adolescenti d’oggi, tra i quali chi scrive, considerano un modello da seguire questo scrittore “alieno” che forse ai suoi tempi non era capito a pieno.

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