di Mattia Falconetti (2F)

Nella Divina Commedia Dante descrive il suo viaggio immaginario attraverso i tre regni dell’oltretomba (Inferno, Purgatorio, Paradiso).

Questo viaggio dura sette giorni, ma i filologi non sono d’accordo sulla sua data di inizio e fine.

Alcuni studiosi della letteratura pensano che il viaggio sia stato compiuto durante la settimana santa dell’anno 1300, con data di inizio quella del 7 aprile e data finale quella del 14 aprile. Proprio nell’anno 1300, papa Bonifacio VIII, acerrimo nemico di Dante, ha inaugurato il primo giubileo (Anno Santo) della storia.

Altri filologi invece sostengono che il viaggio sia iniziato il 25 marzo dell’anno 1300: il 25 marzo infatti, è il giorno in cui è stato concepito Gesù e nella Firenze medievale era considerato il primo giorno dell’anno solare. 

L’ex Ministro della Cultura Dario Franceschini, nel 2020, ha scelto proprio la data del 25 marzo per ricordare l’opera e la vita del Sommo Poeta.

Iconografia di Dante


Se consultiamo le fonti iconografiche, attraverso l’evoluzione dell’immagine di Dante, possiamo analizzare anche l’impatto della sua opera durante le diverse epoche storiche; i dipinti in cui compare, sia quelli a lui contemporanei, sia quelli delle epoche successive, lo ritraggono sempre vestito di rosso e con indosso un cappello frigio, simbolo della sua appartenenza all’Arte e Corporazione degli speziali, appartenenza che gli permise di essere nominato Priore del comune di Firenze il 15 giugno del 1300.

Ciò che cambia nel tempo sono il naso e lo sguardo: il naso si incurva e l’espressione del viso diventa triste e severa. Con il passare degli anni Dante diventa un personaggio sempre più importante, tanto che dal XV secolo in poi i pittori cominciano a dipingerlo con la corona d’alloro che gli cinge il capo.

Dante attraverso le fonti

Oggi, per capire chi fosse Dante, abbiamo a disposizione diverse fonti scritte oltre a quelle iconografiche.

Dante, nella sua opera più conosciuta, la Commedia, scrive di sé «[…] Io fui nato e cresciuto sovra’l bel fiume Arno a la gran Villa, […]» (Inferno XXIII, vv. 94-95), che significa che nacque e crebbe nella città di Firenze. Inoltre aggiunge: «[…] Sta come torre ferma, che non crolla / già mai la cima per soffiar di venti, […]» (Purgatorio V, vv. 14-15), cioè afferma che lui resta delle sue idee, nonostante queste abbiano causato la sua rovina.

Cambiando punto di vista, possiamo andare a leggere le opinioni di alcuni personaggi contemporanei all’epoca in cui è vissuto Dante, come il cronista Giovanni Villani, che dedica un capitolo della sua storia di Firenze proprio al Sommo Poeta.  Villani apparteneva alla fazione dei Guelfi Neri e per questo esprime un giudizio negativo nei confronti di Dante, suo acerrimo nemico in quanto guelfo bianco: «[…] La sua sapienza lo ha reso presuntuoso, sprezzante e altero e, come fa un sapiente scontroso e poco affabile, non sopportava di parlare con le persone incolte» (Historie Fiorentine, libro IX).

Al contrario, Giovanni Boccaccio ammira Dante pur non avendolo mai conosciuto personalmente e scrive il suo parere riguardante il Poeta in base alle descrizioni di coloro che lo avevano incontrato:

«Dante parla solo quando gli viene fatta una domanda, ama la solitudine, il perdersi in immagini e pensieri fino al punto di non accorgersi di ciò che gli accade intorno, si mostra superbo e molto sdegnoso. Per quanto riguarda l’animosità, raccontano che, se toccato sulla politica, si adirasse come un pazzo insano fino a perdere l’autocontrollo e ciò anche per futili motivi» (Trattatello in Laude di Dante).

Giovanni Boccaccio è colui che ha definito la Commedia “Divina”, trasmettendola con questo aggettivo alle future generazioni.

Francesco Petrarca, invece, non esprime né un giudizio negativo né un giudizio positivo sull’opera letteraria di Dante, ma lo accusa di non essere tornato a Firenze una volta che fu bandito dalla città e di aver scritto la Commedia solo per essere glorificato:

«[…] Visse col mio nonno e con mio padre, più giovane del primo, più vecchio del secondo, col quale nel medesimo giorno e da una stessa tempesta civile fu cacciato dalla patria. Spesso tra compagni di sventura nascono grandi amicizie; e questo accadde anche tra loro, che oltre alla fortuna avevano in comune l’ingegno e gli studi, se non che all’esilio, al quale mio padre ad altre cure rivolto e pensoso della famiglia si rassegnò, egli si oppose ed agli studi con maggiore ardore si consacrò, di tutto incurante e sol di gloria desideroso. E in questo non saprei abbastanza ammirarlo e lodarlo; poiché non l’ingiuria dei concittadini, non l’esilio, non la povertà, non gli attacchi degli avversari, non l’amore della moglie e dei figliuoli lo distrassero dal cammino intrapreso» (Familiares XXI, 15).

Le Tre Corone, i tre più grandi autori della letteratura italiana del Trecento: Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio e Francesco Petrarca (Galleria degli Uffizi, Firenze).

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