di Tommaso Piacenti (1F)

«Come sopra un bastimento, le mura contribuivano a creare un sentimento di unità tra gli abitanti: in un assedio o in una carestia, la morale del naufragio si sviluppava facilmente. Ma dietro quelle mura i “privilegiati” cittadini non erano sempre in pace. Le case dei nobili, o dei ricchi, ostentavano le loro torri svettanti sui tetti. Frequenti erano le lotte per il trionfo di una fazione sull’altra, che veniva, se vinta, cacciata di nido, bandita dalla città», A. e C. Frugoni, Storia di un giorno in una città medievale, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 4

Il giorno giovedì 30 marzo 2023 la classe 1F, insieme alle classi 1A e 1C, si è recata in visita presso il nostro capoluogo di provincia, il comune di Viterbo. Ad accoglierci fuori Porta Fiorita abbiamo trovato il Professor Antonello Ricci che ci ha condotto in questo tuffo nel passato, all’interno del quartiere medievale di San Pellegrino. 

Il nostro viaggio nel tempo è cominciato osservando le mura di Viterbo, costruite con la pietra locale di origine vulcanica, il “peperino”, le quali si estendono per circa 4 chilometri. In questo mio articolo, vi parlerò proprio della differenza tra le mura che cingono Viterbo e quelle che invece circondano Nepi.

La cinta difensiva di Viterbo non fu realizzata in un’unica epoca, bensì man mano che la città si popolava e quindi si estendeva. È questo il motivo per il quale si possono notare tecniche costruttive diverse.

Il tratto più antico risale all’anno 1095: è quello che da Porta Fiorita, passando per Porta Romana e Porta della Verità, giungeva a Porta Sonsa (oggi scomparsa), nei pressi del Monastero di Santa Rosa.

Nel 1208 le mura furono allungate dalla parte opposta, dove oggi sorge la chiesa di San Francesco, e proseguono fino al torrione sotto il carcere di San Lupara distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Nel 1215 fu aggiunto un altro tratto delle mura fino alla torre quadrata a nord di Porta Faul.

L’ultimo segmento per racchiudere l’intera città fu costruito nel 1268. Come già detto le tecniche costruttive variano a seconda dell’epoca a cui risalgono le mura. 

I tratti più antichi furono costruiti con la tecnica a grandi blocchi di pietra, ereditata dagli etruschi e dai romani, tipica dell’XI secolo e della prima metà del XII. 

Tra il XII e il XIII secolo si passò alla cosiddetta tecnica a sacco: venivano costruiti due muri paralleli con conci squadrati e lo spazio intermedio veniva riempito con materiale vario; il tutto era infine legato con malta di calce e pozzolana. 

In epoca successiva cambiò il modo di costruire; le dimensioni dei conci in peperino si ridussero e assunsero una forma stretta e alta, murati a coltello con la faccia stretta verso l’esterno, la cosiddetta tecnica a pietrella

Le mura, nel corso dei secoli, hanno subito crolli e distruzioni soprattutto durante la seconda guerra mondiale, ma sono sempre state ricostruite e ancora oggi rispecchiano l’aspetto che avevano nel XIII secolo. Nella cinta muraria con torri sporgenti si aprivano, a distanza variabile, 13 porte; di queste solo due rimangono murate e non più accessibili, Porta Bove e Porta San Lorenzo.

Le mura di cinta di Nepi furono costruite successivamente a quelle di Viterbo, usando il tufo, la peculiare pietra locale di origine vulcanica.

Durante il governo della casata Farnese, grandi opere sorsero in tutta la città, ma la realizzazione più grandiosa fu la costruzione dei bastioni esterni alla Rocca.

Intorno al 1540 il progetto fu affidato ad Antonio da Sangallo il Giovane, uno dei più grandi architetti militari dell’epoca; Giorgio Vasari, nella sua Vite, definì quest’opera “inespugnabile e bella”.

Le mura di Nepi sono diverse rispetto a quelle di Viterbo per la loro struttura e la loro consistenza.

Le mura di Viterbo sono alte, strette e perpendicolari al terreno in quanto, nel periodo medievale, coloro che volevano assediare e conquistare la città appoggiavano le scale alle mura così da poterle scavalcare.

Il fatto che le mura fossero così ripide rendeva più complicato l’assedio.

Le mura di Nepi sono invece oblique in quanto l’assedio non veniva più effettuato con le scale ma le mura, dopo l’arrivo della polvere da sparo in Europa, erano prese di mira dai cannoni.

Le palle di cannone rimbalzavano sulle pietre oblique che, essendo molto spesse, resistevano alla demolizione. Inoltre intorno alla cinta muraria fu scavato un profondo fossato riempito con le acque del Rio Puzzolo e del Rio Falisco.

Due erano gli accessi principali alla città: Porta Romana e Porta Nica. La prima, più grande, permetteva l’ingresso a carri e carrozze. All’occorrenza potevano essere utilizzate le due Posterule laterali (ora murate) per l’accesso a piedi o a cavallo.

Entrambe adottano il doppio sistema di difesa della porta e della controporta; si tratta di uno spazio filtro che si crea dopo il passaggio dalla prima porta verso la seconda. In questo spazio angusto veniva bloccato il nemico e sottoposto al fuoco delle armi.

Nell’agosto del 1545 Nepi fu ceduta dai Farnese in cambio del possesso del ducato di Parma e Piacenza, e la città tornò sotto il controllo della Santa Sede; la costruzione delle mura era in parte ultimata fino a Porta Falisca. In seguito, si continuò con il completamento del tratto detto “Mazzaporco”, sotto l’attuale Palazzo Pisani. 

Oggi il complesso delle fortificazioni della città di Nepi si presenta ancora in tutta la sua maestosità nonostante le manomissioni subite nel corso dei secoli; tra il 1977 e il 1981 furono eseguiti lavori di manutenzione che hanno interessato non solo la Rocca, ma anche la cinta muraria restituita alla sua inestimabile bellezza.

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